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L'Urlo di Prometeo


L'Urlo di Prometeo
Olivo, cm 295x292x180

L'Urlo di Prometeo
Olivo, cm 295x292x180

Divino cielo, aure veloce alate,
fonti dei fiumi e dell’onde marine
innumerevol riso, o terra madre
d’ognuna cosa! E fin del sole invoco
l’onniveggente cerchio…deh guardate
qual male io soffro, dio, dagli altri dei!


Deh mirate con che ingiurie straziato
degg’io lottar diecimil’anni ancora!
Tal dei beati il reggitor novello
trovò per me vincolo infame. Ahi cielo!
La presente sventura e l’avvenire
io piango…


Con questo straziante lamento rivolto al cielo e indirizzato a Zeus, “novello reggitore degli Dei”
dopo la cacciata di Crono dall’Olimpo, entra in scena Prometeo, nell’omonima tragedia di Eschilo,
Incatenato alla roccia.

Incatenato alla roccia, conficcato in essa da un palo, con l’addome squarciato ed esposto agli artigli di un insaziabile rapace che perennemente gli lacera e gli divora il fegato, il Titano Prometeo che aveva donato agli uomini il fuoco denuncia così la terribile punizione che Zeus gli ha inflitto per il suo ingiustificato atto d’amore. Mentre Giove aveva partorito dalla propria testa Minerva, la dea protettrice dell’umana sapienza, Prometeo ha invece partorito dalla propria testa il fuoco: quel fuoco che ha permesso al genere umano di accendere l’innata sapienza con la scintilla della creatività e di avvicinarsi così, pericolosamente, alla condizione privilegiata degli Dei.

Prometeo, tuttavia, non urla per farsi perdonare o per chiedere grazia. Il suo è piuttosto un urlo di rabbia e di rancore: un urlo incontenibile proposto come una sfida continua all’impietosa condanna inflittagli da Zeus, nella profetica certezza che un giorno qualcuno verrà a liberarlo e che il tiranno verrà rimosso dal trono dell’Olimpo. Quest’urlo terribile e questo atteggiamento di sfida rabbiosa al volere del cielo, che caratterizzano l’intera tragedia  greca, sono di fatto anche gli elementi costitutivi della scultura di Massimo Scarfagna, nella quale i termini della narrazione – gli artigli del rapace, i capelli di Prometeo evocativi del fuoco, le radici del tronco suggestive di un organo macerato, i due volti dell’uomo e della donna abbozzati nel retro della scultura – rappresentano solo uno sfumato contorno all’immediatezza della cifra emozionale. Quel volto titanico proteso in avanti e verso l’alto sembra gridare, con Eschilo, le parole finali della tragedia:

“….O veneranda
divinità della mia madre, o cielo
che vai volgendo in giro la tua luce
a tutti in egual modo, guarda o cielo
qual patisco orrende inique pene!”




Foto: Antonio Ficai
Massimo Scarfagna, via dei Palazzi 1 - 53040 Valiano di Montepulciano (Siena)
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